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"Passio Domini"

Sin dalla costituzione della S. Messa, avvenuta tra il 480 e il 520, si avvertì il bisogno non solo di una proclamazione cantata della Passione, ma anche, in generale, di tutte le letture. Questo avvenne per due ragioni. La prima è essenzialmente di ordine fisico-acustico: prima delle moderne amplificazioni, nelle chiese di notevoli dimensioni, la semplice pronuncia parlata impediva ad un discorso di essere chiaramente recepito nelle lunghe distanze. Gridarlo ad alta voce non favoriva l’ascolto: i suoni venivano distorti ed il messaggio risultava incomprensibile.

Di qui la necessità di utilizzare un tono di voce che canta il parlato su una corda di recita ricca di armonici, che permettono alla voce stessa di correre e raggiungere un vasto uditorio. La seconda ragione è di ordine teologico: i primi Padri della Chiesa (Agostino, Tertulliano, Origene ecc.) avevano abbondantemente notato che la lettura di un testo può essere, talvolta, fuorviante in base alle enfasi, alle interpunzioni, alle sospensioni ed alle pause, collocate in determinati punti, e che il lettore può porle a sua personale discrezione nella proclamazione del testo in questione. Questo non succede quando il testo viene cantato: la cantillazione è più neutra e, quando si vuole evidenziare una frase o un determinato termine, la musica predispone già una formula per supportare quest’evidenza, così l’autentico significato è salvaguardato. Questa è la struttura musicale che costituisce la presente Passione: non una melodia ricca di note, ma una “cantillazione recitativa”.

La liturgia ha riservato grande importanza al tema della Passione. Nel Credo formulato dal concilio di Nicea del IV secolo, c’è un passo (“fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto”), che si fonda sul racconto degli avvenimenti della Passione da parte dei quattro evangelisti. Con questo testo la “passione, morte e resurrezione” sono state dichiarate verità di fede, centrali ed obbligatorie per i cristiani. Così anche la croce, insieme alla fede nella resurrezione pasquale, è al centro del pensiero teologico. In particolare nella Chiesa d’Occidente, nel corso dei secoli, si è sviluppata una teologia della croce che, dipartendosi dalla teologia della Passione, ha influenzato la poesia, le arti visive e la musica.

Nei primi secoli la Passione era cantata da una sola persona: il diacono che, a piedi scalzi, con il proprio paramento liturgico (la dalmatica) piegato e indossato sulla spalla di traverso a modo di stola, saliva i gradini dell’ambone e la proclamava solennemente. Con la teologia della compassio di Bernardo, la proclamazione della Passione diviene una drammatizzazione con tre interpreti: l’evangelista, il Cristo e un altro personaggio che rappresenta indistintamente Pilato, la folla dei giudei, Pietro, una guardia ed altri personaggi minori. Nei secoli successivi la drammatizzazione vede un aumento degli interpreti pari al numero dei personaggi presenti nella narrazione.

I tre personaggi iniziali erano contrassegnati da tre lettere che precedevano il loro intervento: “C” per l’evangelista narratore, “T” per il Cristo ed “S” per tutti gli altri attori. Dal XV-XVI secolo, fino ai lezionari oggi in uso, permane l’utilizzo dei tre simboli (la “T” si è però trasformata in “”), ma con un significato errato rispetto al loro significato primigenio. Originariamente le tre lettere non esprimevano l’intenzione di distinguere i tre soggetti recitanti (anche se, implicitamente, lo facevano), ma di differenziare tre interventi melodici diversi tra loro. La lettera “C”, che ora sta per “cronista”, voleva dire “cito” - “celeriter” (velocemente, celermente), suggerimento per una recitazione scorrevole, non lenta, ma anche indicazione che la cantillazione doveva svolgersi ad un’altezza media sulla corda di recita, di “do” (in base all’identificazione delle note con le lettere dell’alfabeto, la lettera “C” indica il “do”). L’attuale croce (“”), che ora indica Cristo, è una trasformazione dell’originale lettera “T”, che significava “trahere” - “tenere” (trascinare, tenere); identificava il modello musicale da cantare al grave, con una certa lentezza, e tale modello melodico corrispondeva alla figura del Cristo. Infine, la lettera “S”, che ora sta per “sinagoga” (raduno), nei manoscritti originali indicava “sursum” (in alto, acuto), e anche questa era una precisa indicazione musicale: la formula melodica acuta, generalmente all’ottava superiore rispetto alla gravità del Cristo, quale simbolo d’ira e di aggressività.

Canti quaresimali
Il mistero della Resurrezione è preparato dalla Quaresima, durante la quale il repertorio del canto gregoriano offre suggestive melodie. Tre canti evocano le preghiere ed i pensieri espressi nelle sue ultime ore da Gesù: l’introito Cirumdederunt, il tratto De profundis e la communio Pater si non potest. Il graduale Christus facus est, uno dei più eccelsi capolavori del gregoriano, canta la fede del popolo cristiano; infine, la sequenza Stabat Mater, poetica descrizione della figura di Maria Maddalena che vive quel terribile Venerdì Santo.

  • Passione di Cristo
  • Ecce lignum crucis
  • Circumdederunt me – introito
  • De profundis – tratto
  • Christus factus est – graduale
  • Surgit Christus cum trophaeo – sequenza tropata